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Posted by straniero su 24 aprile 2008

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Chiara Lubich, la vita, le opere. Dossier Fides

Posted by straniero su 24 aprile 2008


2008-04-19 CITTA’ DEL VATICANO

«… il tuo giorno, mio Dio, verrò verso di Te… e con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia» “Padre, che tutti siano uno”.E’ stata questa la passione di Chiara Lubich, fino all’ultimo: riportare a Lui il mondo sanato da traumi, divisioni e conflitti, il mondo ricomposto nella fratellanza, nell’amore, nell’unità. Riportargli attuato lo stesso sogno per cui era venuto in terra, aveva pregato e pagato con la vita: “Padre, che tutti siano uno”.

Agenzia FIDES

DOSSIER FIDES
Ad un mese dalla sua nascita al cielo

Memoria di Chiara Lubich
raccontata dai Focolarini
L’ultimo saluto a Chiara Lubich il 14 marzo 2008

La vita

L’ opera

Le sue parole: meditazioni, scritti ed interventi

La testimonianza del primo focolarino che ha seguito Chiara

Le testimonianze dal mondo del dialogo interreligioso

Le testimonianze dal mondo del dialogo ecumenico

Una testimonianza dal mondo della famiglia

Una testimonianza dal mondo dell’economia

Una testimonianza dal mondo della vita religiosa

Le testimonianze dal mondo dei giovani

Le testimonianze di ragazzi e adolescenti

Le testimonianze dei bambini

Il “testamento spirituale” di Chiara Lubich: la sua eredità L’ultimo saluto a Chiara il 14 marzo 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – «… il tuo giorno, mio Dio, verrò verso di Te… e con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia» “Padre, che tutti siano uno”.

E’ stata questa la passione di Chiara Lubich, fino all’ultimo: riportare a Lui il mondo sanato da traumi, divisioni e conflitti, il mondo ricomposto nella fratellanza, nell’amore, nell’unità. Riportargli attuato lo stesso sogno per cui era venuto in terra, aveva pregato e pagato con la vita: “Padre, che tutti siano uno”.
“Ed è l’amore a Gesù abbandonato nella solitudine assoluta del Calvario per ricondurre gli uomini al Padre in un dono d’amore, incomprensibile fuori della logica di Dio” – come scrive il Cardinale Coppa sull’Osservatore Romano – che la porta ad “una partecipazione sempre più profonda” al suo abbandono, “nel suo ‘grido’ di morente inascoltato, in un’esperienza sempre più globale”. Chiara stessa, guardando alla sua vita, parla di “abissi di dolore” e di “vette di amore”. Per condividere fino in fondo la notte che adombra oggi tanta parte dell’umanità e irradiare la luce “folgorante” di Dio Amore, balenata per il dono di un carisma, sin dagli anni bui del secondo conflitto mondiale.

Nel momento della conclusione del viaggio terreno di Chiara, il 14 marzo 2008, è proprio la luce, l’amore senza confini, tra le parole più ricorrenti nella miriade di messaggi giunti da tutto il mondo, da personalità delle più diverse culture e credo.

La sua eredità emerge luminosa dalla vasta eco sui media, quando per tutta la vita – come è stato sottolineato da più voci – mai è stata sfiorata dall’ansia di apparire.

Tutto parla di irradiazione di una vita. Nulla sa di morte. Nemmeno il momento dell’ultimo saluto, nella Basilica romana di San Paolo fuori le mura, il 18 marzo. Un momento vissuto in diretta grazie alla imprevedibile disponibilità di network televisivi attivati in pochissimi giorni. “Il cuore scoppiava di gratitudine per la vita di Chiara che ha illuminato ogni nostra esistenza – scrivono dalla Corea in diretta, grazie a Rai International – e sentiamo che la luce da lei partita ora penetra nel mondo sempre di più e lo trasforma”. E’ ben espresso così, il sentire di tanti nei cinque continenti.

Nella Basilica cuore dell’ecumenismo, si fa visibile la fitta rete di rapporti intessuta da Chiara a 360 gradi: prendono la parola per una serie di testimonianze, rappresentanti di religioni orientali, dell’islam, dell’ebraismo, di confessioni cristiane, di movimenti ecclesiali. Numerosi i Cardinali e Vescovi presenti, ma anche personalità politiche di diverse tendenze.

A sorpresa un nuovo messaggio del Papa, letto dal Cardinale Tarcisio Bertone, che riconosce l’attenzione di Chiara ai segni dei tempi, la sua fedeltà ai successori di Pietro, con la capacità profetica di “intuire e attuare in anticipo” il loro pensiero. Dopo quello da lui inviato appena appresa la sua “partenza” dove parla della sua “lunga e feconda vita segnata dall’amore a Gesù abbandonato”, “in ascolto dei bisogni dell’uomo contemporaneo”. Le parole di Benedetto XVI sono lette dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone che nella sua omelia, definisce la sua vita “un canto a Dio Amore”.
La vita
1920 – Chiara Lubich nasce a Trento (Italia) il 22 gennaio. E’ battezzata col nome di Silvia, ma assumerà quello di Chiara in seguito, affascinata dalla radicalità evangelica di Chiara d’Assisi. E’ la seconda di quattro figli. La madre è fervente cristiana. Il padre, tipografo, è socialista. Il fratello Gino sarà tra le file dei partigiani e giornalista del quotidiano “l’Unità”. Durante il fascismo, la famiglia vive per anni in condizioni di povertà. Per mantenersi agli studi, sin da adolescente, dà lezioni private. Sin da piccola, matura in lei la chiamata ad una “vita cristiana alta”.
1938 – La ricerca di verità – A 18 anni insegna tra i banchi delle elementari a Castello e a Livo, paesini della Val di Sole (provincia di Trento) e poi nella città di Trento, agli orfani dell’Opera Serafica. Alla ricerca appassionata della verità, di Dio, inizia gli studi di filosofia all’Università di Venezia, ma li deve ben presto interrompere per gli ostacoli posti dalla guerra e per potersi dedicare interamente al Movimento nascente. La sua ricerca trova piena risposta in Gesù, Via, Verità e Vita.
A 19 anni la prima intuizione della sua strada – Partecipando ad un corso per giovani di Azione Cattolica, visita il santuario mariano di Loreto dove la tradizione dice sia custodita la casetta dove vissero Gesù, Giuseppe e Maria. Intuisce quale sarà la sua vocazione: una comunità sul modello della famiglia di Nazareth. Si realizzerà 4 anni dopo: sarà il “focolare”, piccola comunità di laici, uomini o donne, vergini e coniugate, tutte donate, seppur in modi diversi, a Dio, chiamate a “generare” spiritualmente la presenza di Gesù, come da lui promesso a “due o più riuniti nel suo nome”. E’ una nuova vocazione che si apre nella Chiesa. I focolari saranno il cuore dell’intero movimento che si svilupperà.
Infuria il secondo conflitto mondiale. L’incontro con Dio Amore – Trento fino all’estate 1943 era stata risparmiata dalla guerra. La città, occupata dai tedeschi, per più di 12 mesi è colpita dai bombardamenti americani, quasi incessanti. Di fronte a macerie e morti, forte è la lezione della guerra: Tutto è vanità delle vanità, tutto passa. Solo Dio resta. Dio che in quel clima di odio e violenza, per una luce particolare, Chiara sperimenta come amore, scopre come Padre. La sua vita cambia. E’ una luce che illumina la sua storia personale e la grande storia del mondo, in quel tempo denso di incognite. Sarà la scintilla ispiratrice di quanto nascerà. Immediatamente cerca tutti i mezzi per comunicare questa grande scoperta a parenti, amici e conoscenti. Approfitta anche dell’attesa dei bombardieri, all’imbocco del rifugio antiaereo, per scrivere lettere infuocate.

Nel dicembre 1943, la chiamata di Dio – Mentre compie un semplice servizio per la famiglia, lungo la strada, avverte chiaramente la chiamata di Dio a dare a Lui tutta la sua vita. Dopo pochi giorni, il 7 dicembre, alla presenza di un sacerdote, nella cappella dei Cappuccini, pronuncia il suo Sì a Dio, con il voto di castità. E’ sola. Ha 23 anni. “Ho sposato Dio! C’è da aspettarsi tutto”. Era posta così la prima pietra di quello che sarebbe diventato un movimento a diffusione mondiale. Questa data ne segna la nascita.

Il Vangelo unica luce di vita – “Ogni giorno nuove scoperte – scrive Chiara in quegli anni. “Il Vangelo era diventato unico nostro libro, unica luce di vita”. Forte è una certezza: vivere il Vangelo con radicalità non è solamente un fatto spirituale, ma ha in sé la forza di rinnovare e sanare il tessuto sociale disgregato.

Chiara apre gli occhi sulle molte povertà provocate dalla guerra. “Qualunque cosa hai fatto al minimo l’hai fatto a me”, dice Gesù nel Vangelo. E’ tra i quartieri più poveri della città che, insieme alle sue prime compagne, inizia una divina avventura. La loro mira è risolvere il problema sociale di Trento. Il loro modello: la primitiva comunità cristiana dove nessuno era nel bisogno.

Le promesse evangeliche si avverano – Nel piccolo appartamento che le ospita, al centro della stanza mettono in comune tutto ciò che hanno per ridistribuirlo a chi non ha. Sperimentano con meraviglia che il Vangelo attua ciò che promette: “Date e vi sarà dato”, “Chiedete e otterrete”… Si innesca il circuito vitale del dare-ricevere-dare. Più danno viveri, vestiario e medicinali, più ne arrivano con insolita abbondanza: mille e mille i fatti quotidiani che subito si diffondono. E’ uno stile di vita che diventa contagioso.

L’incontro con Gesù crocefisso e abbandonato – Nel gennaio 1944, nel dialogo con un sacerdote venuto a visitare Dori, con le piaghe in viso per un contagio a contatto con i poveri, Chiara viene a scoprire che il momento in cui Gesù più ha sofferto è stato in croce quando ha gridato l’abbandono del Padre. La scelta di Dio Amore si precisa: da allora sarà la scelta di Gesù crocefisso e abbandonato, il culmine dell’Amore.

La chiamata ad abbracciare il dolore dell’umanità – Il 13 maggio 1944, una conferma di questa scelta. Trento è colpita da uno dei più violenti bombardamenti. Anche la casa dei Lubich è gravemente lesionata. Mentre i familiari sfollano in montagna, Chiara decide di rimanere in città per sostenere la nuova comunità nascente. Nell’abbraccio a una donna impazzita dal dolore, che le grida la morte dei suoi 4 figli, avverte la chiamata ad abbracciare il dolore dell’umanità.

Nasce il primo focolare – Con le prime giovani che condividono la sua avventura evangelica, trova alloggio in un piccolo appartamento, in Piazza Cappuccini. E’ il primo focolare. Inizia ad attuarsi quanto aveva intuito anni prima, nel 1939, nel Santuario di Loreto. Il primo focolare maschile si aprirà nel 1948.

Lo scopo della loro vita: Che tutti siano uno. Nei rifugi antiaerei, Chiara e le sue prime compagne portano solo il Vangelo. Un giorno lo aprono alla pagina del testamento di Gesù: che tutti siano uno. Il futuro dell’umanità è illuminato dal progetto d’amore di Dio: l’unità della famiglia umana. Avvertono chiaramente che per attuare quella pagina sono nate. Nel piccolo appartamento di piazza Cappuccini a Trento, quello stesso giorno scrivono sullo stipite delle stanze, i nomi dei cinque continenti.

Come attuare questo progetto così ardito? Gesù nel grido di abbandono si rivela il segreto dell’unità. In Lui è la norma di una vita nuova, il modello e la misura di quell’amore scambievole che Gesù nel Vangelo definisce il “suo” comandamento. Un patto tra Chiara e le sue prime compagne sigilla questo amore. “Dov’è la carità e l’amore lì c’è Dio. Dove due o più sono uniti nel mio nome lì sono Io in mezzo a loro. La vita fa un balzo di qualità: sperimentano, come mai prima, luce, pace e amore, pur immerse nel dramma della guerra. E’ l’esperienza della presenza spirituale di Gesù, da lui promessa a chiunque, “due o più”, riuniti nel suo nome. Si realizza ovunque: nelle famiglie, nei quartieri, nelle università, nelle fabbriche. Ben presto si fa luce su altre povertà: quanta arsura di Dio, di pace, di gioia in quel dopo guerra! E’ Lui la risposta!

La prima comunità – Giovani, operai e professionisti, attratti dalla radicalità evangelica, si uniscono a quel primo gruppo. Ben presto anche famiglie, persone di ogni categoria ed età, sacerdoti e religiosi. Dopo pochi mesi in 500 sono coinvolti in una comunione spontanea di beni materiali e spirituali, modellata sullo stile della comunità dei primi cristiani dove “erano un cuor solo ed un’anima sola e tutto era tra loro in comune”

Le prime difficoltà – Chiara stessa dirà che “questa Opera ha sperimentato il dolore sotto mille forme”, come conseguenza del Vangelo vissuto. Lo sperimenta sin dai primi anni, quando dal tessuto sociale lacerato dalla guerra, nasce una comunità viva che presentava in quegli anni quaranta, oltre venti anni prima del Concilio, molte novità. Serpeggiavano critiche e incomprensioni. Quel gruppo di giovani cercava di vivere il Vangelo parola per parola: era facile che fossero tacciate di protestantesimo; mettevano in comune i pochi beni e l’unità era il loro ideale… il Movimento non poteva essere una nuova, pericolosa forma di comunismo? Ma anche questo è Vangelo: “Il chicco di grano deve morire per portare frutto”.

La prima approvazione della Chiesa – Nel 1947 il vescovo di Trento, Carlo De Ferrari, afferma: “Qui c’è il dito di Dio” e dà la sua prima approvazione. Inizia la diffusione del movimento in Italia.

Un periodo di luce – Nel ’49, sui monti del Trentino, dove Chiara era salita per un periodo di riposo, l’esperienza del Risorto, che si fa presente nell’unità, apre ad una comprensione ancora più profonda su Dio, sul creato e sull’uomo, sul futuro di ciò che stava nascendo.
Si delinea una nuova spiritualità – “Mentre si credeva di vivere semplicemente il Vangelo – racconta Chiara – inavvertitamente lo Spirito ci andava sottolineando alcune Parole che dovevano diventare i principi operanti di una nuova corrente di vita evangelica: la spiritualità dell’unità”. Si rivelerà linfa vitale che penetra e trasforma, in vario modo, persone di ogni età e categoria, razza cultura e credo. In profonda sintonia con lo spirito del Concilio Vaticano II, e con la spiritualità di comunione additata da Papa Giovanni Paolo II alla Chiesa del Terzo Millennio.
L’ opera

“Sono un semplice strumento in mano all’Artista, forgiato continuamente con mille e mille accorgimenti dolorosi e gioiosi per farlo sempre più atto all’opera che deve compiere”. “Non ho mai fatto programmi”, ha ripetuto più volte Chiara. “Lo spartito è in Celo, noi cerchiamo di suonare quella musica in terra”.

Negli innumerevoli volti del dolore, divisioni e traumi dell’umanità e dei “prossimi” che incontra attraverso le varie circostanze, Chiara riconosce e ama il volto dell’Uomo Dio che sulla croce grida l’abbandono del Padre suo, nella certezza, che diventa esperienza viva, che Lui li ha ricomposti e sanati. Sin dall’inizio ha come programma: “Fare dell’unità tra noi il trampolino per correre lì dove non c’è e costruirla.” Per l’azione del carisma dell’unità, si aprono vie nuove in risposta alle urgenze che via via emergono nell’umanità: segnano nuove tappe dello sviluppo di questa Opera.

Sotto la spinta del dramma che ha vissuto l’Ungheria con l’occupazione russa del ’56, Chiara, facendo eco alla voce di Papa Pio XII, lancia un appello a portare Dio nel cuore dalla società. Immediata la risposta di uomini e donne impegnati nei vari ambiti della società: cogli anni suscitano le prime realizzazioni per il rinnovamento di politica, economia, medicina e pedagogia, arte e comunicazione. Prende forma il Movimento Umanità Nuova.

Giovani – Ancora prima della rivoluzione culturale che percorre il mondo nel ’68, Chiara lancia i giovani a vivere con radicalità il Vangelo, per essere protagonisti nella costruzione di un mondo nuovo: un mondo unito. Nasce così, due anni prima, nel 1966, il Movimento Gen (generazione nuova) che animerà il più ampio Movimento Giovani per un mondo unito. Negli anni si delineeranno nuove diramazioni: terza generazione, i gen 3 (ragazzi e adolescenti) che animeranno il Movimento Ragazzi per l’unità. Chiara ha dato loro una consegna: essere una generazione di santi. Nasce anche la quarta, i e le Gen 4 (bambini), verso cui Chiara ha una particolare predilezione per la loro spiccata sensibilità alla logica del Vangelo.

Famiglia – Alla fine degli anni Sessanta, quando nelle famiglie si avvertono i segni di una crisi che diventerà sempre più profonda, dà il via al Movimento Famiglie Nuove, in cui proprio le famiglie sono i primi attori di rinascita e di apertura sul sociale.

Sacerdoti, religiosi e religiose di varie congregazioni, ed anche vescovi, sin dagli inizi, vivendo la spiritualità dell’unità, riscoprono la loro vocazione e i loro carismi, e contribuiscono al rinnovamento e alla comunione nella Chiesa, in profonda sintonia con il Concilio Vaticano II e con il magistero degli ultimi Papi. Per gli sviluppi che si avviano negli anni del post Concilio, Chiara delinea nuovi movimenti: sacerdotale, parrocchiale e diocesano, dei membri di vari istituti di vita consacrata. Ed ultima, nel 1998, la diramazione dei vescovi che hanno con il movimento non un legame giuridico, ma spirituale.

Vie privilegiate all’unità e alla pace: i dialoghi – Via via Chiara Lubich apre a livello di personalità, movimenti e singoli un dialogo a 360°: all’interno della propria Chiesa, con cristiani di diverse Chiese, con fede di altre religioni, ed anche con persone senza una fede religiosa. La spiritualità dell’unità si rivela l’elemento unificante che trasforma le diversità in ricchezza creativa, contribuisce a sviluppare i semi di verità e di amore insiti in uomini e donne di diverse culture, religioni e credenze, suscitando la fraternità. Senza sincretismi né proselitismi, nel pieno rispetto del proprio credo. I grandi dialoghi, si rivelano cogli anni vie privilegiate per contribuire a comporre nella fraternità la famiglia umana, proprio nel tempo in cui sembra minacciata dallo scontro di civiltà.

Cultura dell’unità – Mentre l’Occidente, ma non solo, è attraversato da una profonda crisi culturale, negli anni ’90 Chiara dà vita alla Scuola Abba, un laboratorio di studio interdisciplinare. Insieme a lei sono impegnati esperti di varie discipline. Da questo centro studi si svilupperà l’Istituto Universitario Sophia, da Chiara sognato sin dagli inizi, che si aprirà nell’ottobre prossimo nella cittadella di Loppiano. Quali strumenti per comunicare la cultura dell’unità nasceranno periodici, case editrici, siti web.

In questi stessi anni Chiara imprime nuovo impulso al rinnovamento nei più diversi ambiti della società e della cultura. Di fronte agli enormi dislivelli economici del Brasile, durante un viaggio nel 1991, Chiara lancia il progetto dell’Economia di Comunione, gettando le basi di un’economia ispirata alla cultura del dare, antidoto alla cultura consumista dell’avere. Ispira la gestione di oltre 700 aziende produttive e di servizi, in vari Paesi. Questa esperienza ha un impatto anche a livello culturale. Oltre 200 le tesi di laurea e i convegni a livello nazionale e internazionale.

Nel ’96, in risposta alla forte crisi politica che attraversa l’Italia, Chiara dà vita al Movimento Politico per l’unità, trasversale ai vari partiti, proponendo di assumere quale categoria politica, la fraternità.

Dal 2000 matureranno nuovi sviluppi in dialogo con la cultura contemporanea con l’attivazione di reti internazionali nei diversi campi, dall’arte al diritto, dalla pedagogia alla medicina, alla comunicazione sociale: promuovono convegni, forum, pubblicazioni. Chiara vede in atto una inondazione dell’ideale evangelico dell’unità nei più diversi ambiti e discipline, sulla base delle realizzazioni concrete maturate negli anni precedenti.
Le cittadelle – Sin dal 1962 Chiara, ad Einsiedeln in Svizzera, guardando dall’alto di una collina il complesso di una delle abbazie che nei secoli erano state centri propulsori di civiltà, aveva intuito la possibilità che, dal Movimento potessero sorgere piccole città moderne composte di scuole, case, industrie – città/pilota – per un mondo nuovo, la cui legge fosse quella del Vangelo, l’amore reciproco. Le cittadelle sono ora presenti nei 5 continenti. Loppiano, nata due anni dopo, nel 1964, è la prima delle oltre 30 cittadelle sorte nel mondo, e la più sviluppata. Particolare rilievo ha anche la cittadella di Fontem (Camerum) da dove l’ideale evangelico dell’unità si è irradiato in tutto il continente africano. Vari i viaggi di Chiara. L’ultimo nel 2000 dove ha lanciato una vasta azione di evangelizzazione portata avanti, insieme ai focolarini, dalle maggiori autorità di questo popolo.

Solidarietà internazionale – Chiara soffre delle gravi disparità sociali che colpiscono interi continenti: Africa, America Latina, Asia. Ma è certa che nel Vangelo c’è in nuce la più potente rivoluzione sociale. Con la diffusione del movimento nei vari continenti, si moltiplicheranno significative realizzazioni di promozione spirituale e sociale, dove le popolazioni diventano protagoniste del loro sviluppo, come a Fontem in Africa, a Manila nelle Filippine, e nel Nord-Est brasiliano. Più di 1000 sono attualmente le opere sociali e oltre 18.000 le adozioni a distanza per iniziativa di Famiglie Nuove.

Le sue parole: meditazioni, scritti ed interventi

La comunità cristiana

Dal n. 10 dell’ottobre 1948 della rivista mensile “FIDES”, della Pontificia Opera per la preservazione della Fede in Roma , riportiamo un articolo scritto da Chiara Lubich su richiesta di Igino Giordani, allora direttore di Fides e deputato al parlamento italiano. Giordani così introduce l’articolo:

Sono venuti a trovarci tre religiosi il cui nome è caro ai cattolici italiani ed esteri:
un Cappuccino, un Minore, un Conventuale: tutto il prim’Ordine francescano rappresentato. C’era pure un terziario: il terz’Ordine. E c’era anche una giovane donna, che, per la sua religiosità contemplativa e pratica, impersonava ai nostri occhi il second’Ordine di S.Francesco. C’era insomma tutto S. Francesco, del quale oggi tutti sentiamo il desiderio.
S’è parlato della comunità cristiana: il tema che appassiona una società minacciata dal comunismo anticristiano. Tema di studio, ma anche di realizzazioni: che la sorella Chiara ci ha parlato d’una realizzazione di vita cristiana in comune, ispirata dalla fede e sollecitata dal bisogno, durante la guerra. L’iniziativa, partita da Trento, si è dilatata in varie parti d’Italia e fuori d’Italia. Ecco come questa nostra sorella ci ha raccontata la vicenda, religiosa, spirituale e materiale, da cui sta sorgendo la «comunità cristiana ».

Erano i tempi di. guerra. Tutto crollava di fronte a noi, giovanette, attaccate ai nostri sogni per l’avvenire: case, scuole, persone care, carriere. Il Signore pronunciava coi fatti una delle sue eterne parole: ” Tutto è vanità, nient’altro che vanità…”.

Fu da quella devastazione completa e molteplice di tutto ciò che formava l’oggetto del nostro povero cuore, che nacque il nostro ideale. Vedevamo altre giovinezze gettarsi nell’entusiasmo sincero per la salvezza e l’avvenire migliore della Patria . Era facile parlar d’ideale in quella vita morta a tutto ciò che umanamente potrebbe attrarre. Noi sentivamo che un solo ideale era vero, immortale: Dio. Di fronte al crollo provocato dall’odio, vivissimo apparve alla nostra mente giovanetta colui che non muore. E lo vedemmo e lo amammo nella sua essenza: “Deun caritas est” .

Ci suggellò i nostri pensieri e le nostre aspirazioni un ‘altra figliola che in altri tempi, non molto dissimili ai nostri, seppe illuminare della sua luce divina le tenebre del peccato e riscaldare i cuori gelidi d’egoismo, d’odio, di rancori: Chiara d ‘Assisi. Anch’ella vide come noi la vanità del mondo, perchè il Poverello d’Assisi, vivo esempio di povertà, l’aveva educata “a perder tutto per guadagnare Gesù Cristo” . Anch’ella, scappata dal castello degli Scifi, a mezzanotte, alla Porziuncola, prima di deporre i ricchi broccati, aveva risposto al ‘santo che le chiedeva: ” Figliola che cosa desideri?” “Dio”.

Ci impressionò il fatto, che una giovinetta diciottenne, bellissima, piena di speranze, sapesse racchiudere tutti i desideri del suo cuore nel solo Essere degno del nostro amore.
E noi pure al par suo sentimmo identico desiderio. E dicemmo: “Dio è il nostro ideale. Come donarci tutte a lui?” Egli disse: “Amami con tutto il cuore…”.

Come amarlo? “Chi mi ama osserva i miei comandi. Amerai il prossimo tuo come me stesso”.
Ci guardammo l’un l’altra e decidemmo senz’altro “di amarci per amarlo . Più si ” vive” il Vangelo, più si comprende. Prima che ci buttassimo alla vita, come i bimbi si buttano al gioco, la parola di Dio, se non era perfettamente oscura, non era però viva alla nostra intelligenza, né sacra al cuore.
Ora ogni giorno erano nuove scoperte nel Vangelo, diventato ormai unico nostro libro, unica luce di vita. Comprendevamo chiaro che nell‘amore è tutto, che l’amore vicendevole “doveva” formare l’ultimo richiamo di Gesù alle anime che l’avevano seguito, che “il consumarsi in uno” non poteva non essere l’ultima preghiera di Gesù verso il Padre, sintesi suprema della Buona Novella.
Gesù sapeva che la santissima Trinità era beatitudine eterna, ed egli Uomo Dio sceso a redimere
l’umanità, voleva trascinare tutti quelli che amava nella comunità dei Tre. Quella la Patria sua, quella la patria dei fratelli che aveva amato fino al sangue.

“Consumarci in uno”: fu il programma della nostra vita per poterlo amare. Ma dove due o più sono uniti nel suo nome, Egli è in mezzo ad essi. La sentivamo, la sua divina presenza,ogni volta che L’unità trionfava sulle nature nostre ribelli a morire: presenza della sua luce, del suo amore, della sua forza.
Gesù fra noi.
La prima piccola società di fratelli, suoi veri discepoli, era formata. Gesù vincolo d’unità.
Gesù re d’ogni singolo cuore, perchè la vita d’unità suppone la morte perfetta dell’io.
Gesù re del piccolo gruppo di anime.

E dicevamo già dall’inizio:”Sì, il Vangelo è soluzione di ogni problema individuale e d’ogni problema sociale”. Lo era per noi, fatte un cuor solo, una mente sola; poteva esserlo per più, per tutti.
E non era difficile. Bastava porre nel proprio cuore i desideri che Gesù avrebbe avuto se fosse stato in noi; pensare ogni cosa come Gesù l’avrebbe pensata; in altre parole rincarnare il Vangelo nella propria vita, adempire la divina volontà, varia per ciascun’anima eppure proveniente dallo stesso Dio, come più raggi provengono dallo stesso sole e l’unità era fatta. La fede e l’amore, che Egli viveva in noi, ci avvicinarono a quelle anime che un giorno ci faceva incontrare e quest’amore spontaneamente, liberamente,r le trasse ad identico ideale.

Mai pensammo di far apostolato. Non ci sembrava bella questa parola. Qualcuno ne aveva abusato, deturpandola. Volevamo solo amare per amarlo. E ci accorgemmo presto che questo era il vero apostolato. Sette, quindici, cento, cinquecento, mille, tremila e più anime d’ogni vocazione, d’ogni condizione. Ogni giorno crescevano attorno a Gesù fra noi.
L’umanità nostra messa in croce dalla vita d’unità attirava tutti a sé. Unità perfetta viveva e vive tra queste anime ormai sparse in tutta l’Italia e fuori.

Unità non. solo spirituale nell’appassionata ricerca d’esser un altro Gesù, ma anche unità pratica.
Tutt’in comune: cose case aiuti denari. E c‘è pace, c’è paradiso in terra. La vita è un’altra.

In tutta la città non c’è ufficio, scuola, negozio, azienda, dove non lavori un fratello od una sorella dell’unità Da loro irradia, come il sole, la vita di carità, che crea una nuova atmosfera soprannaturale, spegne odi, rancori. Molte famiglie si ricompongono in pace altre iniziano la loro vita con nel cuore l’ideale. Veramente siamo agli inizi d’un’epoca nuova: “l’era di Gesù”. E tutto questo perché unico principio, unico mezzo, unico fine è Gesù. Gesù “in” noi. Gesù “fra noi”. Gesù fine del tempo e dell’eternità.

Si scervellino le menti umane a trovare una soluzione del dramma d’oggi. Non la troveranno se non in Gesù. Non solo in Gesù vissuto nell’intimo di ciascuno, ma in Gesù regnante “fra” le anime.
Esse non hanno tempo di discutere perché Egli troppo chiaro fa vedere a chi è unito ad altri nel suo nome, e vi rimane, cosa “c’è da fare” per ridare al mondo la pace vera.

C’è un “porro unum necessarium” dell’anima nel suo rapporto con Dio. C’è un “porro unum necessarium » dell’anima nel suo rapporto con i prossimi e questo è amarli come se stesso fino a consumarsi in uno quaggiù in attesa della perfetta consumazione delle anime nell’Uno, Gesù,in cielo.
E’ la Comunità cristiana.

L’attrattiva del tempo moderno

“Ecco la grande attrattiva del tempo moderno:
penetrare nella più alta contemplazione
e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo.
Vorrei dire di più: perdersi nella folla, per informarla del divino,
come s’inzuppa un frusto di pane nel vino.
Vorrei dire di più: fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità,
segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo,
dividere col prossimo l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.
Perché l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi,
è ciò che di più umano e di più divino si possa pensare:
Gesù e Maria, il Verbo di Dio, figlio d’un falegname,
la Sede della Sapienza, madre di casa”.
(da La dottrina spirituale, Città Nuova, 2006)

Dio è in te!

“Vorrei essere accanto a ciascuno di voi e parlarvi col cuore in mano e con la delicatezza di Dio; dirvi ciò che passa nel mio cuore: anche in te l’Altissimo ha segnato un disegno d’Amore. Anche tu puoi vivere per qualcosa di grande nella vita.
Credo: Dio è in te!
La tua anima in grazia è centro dello Spirito Santo: il Dio che santifica.
Rientra in te: cerca Dio, il tuo Dio, quello che vive in te! Se tu conoscessi chi porti in te!
Se tu tutto lasciassi per Lui…
Se questa breve esistenza, che scappa e tramonta di un passo ogni giorno, tu la rivolgessi a Dio!
Oh!, se Dio fosse Re in te e ogni potenza dell’anima tua e del tuo corpo fossero ancelle di questo Re, al Suo divino servizio!
Oh!, se tu Lo amassi con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze!
Allora…t’innamoreresti di Dio e passeresti per il mondo annunziando una buona nuova!
Dio c’è. Vivi per Lui.
Dio sarà tutto per te fra pochi anni, appena passata questa breve vita! Gettati in Lui.
Amatelo.
Ascoltate quello che vuole, in ogni attimo della vostra vita, da voi.
Fatelo con tutto lo slancio del vostro cuore, consumando a questo divino servizio tutte le vostre forze. Innamoratevi di Dio!
Tante cose belle vi sono sulla terra! Più bello è Dio!
Che la vostra giovinezza non scappi e fra i singhiozzi di una vita fallita, non vi tocchi dire come sant’Agostino: “Tardi ti ho amato! Tardi ti ho amato, bellezza sempre antica e sempre nuova!”.
(…) No! Ora ti amo, mio Dio, mio Tutto!
Ora comanda e faccio! La tua volontà è la mia! Voglio ciò che Tu vuoi!
Innamorarsi di Dio sulla terra significa innamorarsi della sua volontà, finché l’anima nostra vissuta a questo divino servizio Lo vedrà e Lo avrà con sé per sempre”.
(lettera del 1943 in La dottrina spirituale, Città Nuova, 2006)

Unità: parola divina

“Unità: parola divina. Se ad un dato momento venisse pronunciato dall’Onnipotente e gli uomini l’attuassero nelle sue più varie applicazioni, noi vedremmo il mondo di scatto fermarsi nel suo andazzo generale, come in un gioco di film, e riprendere la corsa della vita in opposta direzione. Innumerevoli persone farebbero a ritroso la strada larga della perdizione e si convertirebbero a Dio, imboccando la stretta… Famiglie smembrate da risse, freddate dalle incomprensioni, dall’odio e cadaverizzate dai divorzi, ricomporsi. E i bimbi nascere in un clima d’amore umano e divino e forgiarsi uomini nuovi per un domani più cristiano.

Le fabbriche, accolte spesso di “schiavi” del lavoro in un clima di noia, se non di bestemmie, divenire luogo di pace, dove ognuno lavora il suo pezzo al bene di tutti. E le scuole infrangere la breve scienza, mettendo cognizioni di ogni genere a sgabello delle contemplazioni eterne, imparate sui banchi come in un quotidiano svelarsi di misteri, intuiti partendo da piccole formule, da semplici leggi, persino dai numeri…

E i parlamenti tramutarsi in luogo di incontro di uomini cui preme, più che la parte che ciascuno sostiene, il bene di tutti, senza inganno di fratelli o di patrie.

Vedremmo insomma il mondo diventar più buono ed il Cielo calare d’incanto sulla terra e l’armonia del creato farsi cornice alla concordia dei cuori. Vedremmo… E’ un sogno! Sembra un sogno!

Eppure tu non hai chiesto di meno quando hai pregato: “Sia fatta la tua volontà come in Cielo così in terra”.
(da La dottrina spirituale, Città Nuova, 2006)

“Non conosco che Cristo e Cristo crocifisso”

“Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù Abbandonato: non ho altro Dio fuori di lui.
In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità.
Perciò il suo è mio e null’altro. E suo è il Dolore universale e quindi mio.
Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita.
Ciò che mi fa male è mio. Mio il dolore che mi sfiora nel presente.
Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù).
Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno…,
in una parola: ciò che non è Paradiso.
Poiché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio.
Non ne conosco altri.
Così per gli anni che mi rimangono:
assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie,
di distacchi, di esilio, di abbandoni, di strazi,
di … tutto ciò che è lui e lui è il Peccato, l’Inferno.
Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini
e – per la comunione con lo Sposo mio onnipotente – lontani.
Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità.
Ma occorre esser come lui: esser lui nel momento presente della vita”.
(da Il grido, Città Nuova, 2000)

Perché la voglio rivedere in te

“Sono entrata in chiesa un giorno e
con il cuore pieno di confidenza Gli chiesi:
“perché volesti rimanere sulla terra, su tutti i punti della terra,
nella dolcissima Eucaristia, e non hai trovato, Tu che sei Dio,
una forma per portarvi e lasciarvi anche Maria,
la mamma di tutti noi che viaggiamo?”.
Nel silenzio sembrava rispondesse: ”
Non l’ho portata perché la voglio rivedere in te.
Anche se non siete immacolati, il mio amore vi verginizzerà e
tu, voi, aprirete braccia e cuori di madri all’umanità,
che, come allora, ha sete del suo Dio e della Madre di Lui.
A voi ora lenire i dolori, le piaghe, asciugare le lacrime.
Canta le litanie e cerca di rispecchiarti in quelle”.
(da Maria trasparenza di Dio, Città Nuova, 2003)
Dialogo all’interno della Chiesa

“La passione per la Chiesa, di cui un giorno ha parlato il Papa Paolo VI, impera nei cuori dei veri cristiani. Essa deve passare però dal piano del sentimento a quello pratico, dove l’amore per la Chiesa intera, così com’è – con le sue istituzioni, frutto dei numerosi carismi che lo Spirito Santo le ha elargito e le elargisce -, chiama la conoscenza e la conoscenza chiama nuovo amore.

Quello che il cristianesimo insegna nel campo del rapporto fra singoli -amare, conoscersi, farsi uno con gli altri, fino al punto di potersi comunicare i doni eventuali che Dio ci abbia fatto -, deve essere trasferito sul piano sociale, sì da conoscere, stimare e amare gli altri Movimenti e Opere della Chiesa e suscitare o accrescere fra tutti la reciproca comunione di beni spirituali. Ne nascerebbe allora una collaborazione voluta dalla volontà e dal cuore, e in questo modo serviremmo veramente la Chiesa che amiamo.

Se così invece non facessimo, la nostra “passione per la Chiesa” sarebbe pura retorica e ci metteremmo nelle condizioni di trovarci chiusi e isolati. Inoltre il nostro amore per il Papa si ridurrebbe ad effimero entusiasmo e a sentimentalismo, in quanto non condivideremmo con lui ciò che egli ama: la vita dell’intera Chiesa di Dio”.

“Noi dobbiamo oggi vivere la nostra vita, che sarebbe come dire, con più semplicità: noi dobbiamo vivere oggi la nostra santità, tenendo conto che essa ha da fiorire nell’aiuola della Chiesa dove mille odori già profumano. Dobbiamo armonizzare il nostro con questi o meglio trovare la vera natura e pienezza del nostro nell’armonia con tutti gli altri. Miniere inesauribili di santità portano le Scritture e la Tradizione e la storia sacra dell’umanità fin oggi; per cui, se vogliamo ben conoscere il modo di far meditazione, dobbiamo ricorrere ai santi contemplativi cui Dio diede inestimabili carismi. E, se vogliamo far gli esercizi spirituali, non possiamo prescindere da sant’Ignazio che ne è maestro, come san Francesco insegnerà sempre, a tutti, cos’è la vera povertà e santa Teresina darà un consiglio a chi in breve tempo vorrà raggiungere la santità.
Questo valorizzare i santi è glorificare in essi il Signore”.
(primi anni Sessanta)

Dialogo ecumenico

“All’alba del Terzo Millennio, dando uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni e in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non rimanere ancora contristati nel costatare come essa è stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte. Queste hanno spezzato in molti punti la tunica inconsùtile di Cristo, che è la sua Chiesa. Colpa di chi? Certamente di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali… Ma anche del venir meno fra i cristiani di quell’elemento unificatore loro tipico: l’amore. Proprio così.

E allora per poter tentare oggi di rimediare a tanto male, dobbiamo tener presente il principio della nostra comune fede: Dio Amore che chiama pure noi ad amare.
In questi tempi è proprio Dio Amore che, in certo modo, deve nuovamente tornare a rivelarsi anche alle Chiese che componiamo. Non si può, infatti, pensare di poter amare gli altri se non ci si sente profondamente amati, se non è viva in tutti noi, cristiani, la certezza che Dio ci ama. Ed Egli non ci ama solo come singoli cristiani, ci ama pure come Chiesa. E ama la Chiesa per quanto si è comportata nella storia secondo il disegno che Dio aveva su di essa. Ma anche – e qui è la meraviglia della misericordia di Dio – la ama pure se non vi ha corrisposto, permettendo la divisione, solo nel caso però che ora ricerchi la piena comunione con le altre Chiese.

E’ questa consolantissima convinzione che ha fatto sì che Giovanni Paolo II, fidando in Colui che trae il bene dal male, alla domanda: “Perché lo Spirito Santo ha permesso tutte queste divisioni?”, pur ammettendo che può essere stato per i nostri peccati, ha aggiunto: “Non potrebbe essere (…) che le divisioni siano state (…) una via che ha condotto e conduce la Chiesa a scoprire le molteplici ricchezze contenute nel Vangelo di Cristo…? Forse tali ricchezze non sarebbero potute venire alla luce diversamente…”.Credere, dunque, a Dio, che è Amore anche per la Chiesa. Ma, se Dio ci ama, noi non possiamo rimanere inerti di fronte a tanta divina benevolenza. Da veri figli dobbiamo contraccambiare il suo amore anche come Chiesa.

Ogni Chiesa nei secoli si è, in certo modo, pietrificata in se stessa per le ondate di indifferenza, di incomprensione, se non di odio reciproco. Occorre perciò in ognuna un supplemento d’amore; occorrerebbe, anzi, che la cristianità venisse invasa da una fiumana d’amore. Amore verso le altre Chiese, dunque, e amore reciproco fra le Chiese, quell’amore che porta ad essere ognuna dono alle altre, poiché si può prevedere che nella Chiesa del futuro una ed una sola sarà la verità, ma espressa in varie maniere, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni. Non è che una Chiesa o l’altra dovrà morire (come, a volte, si teme), ma ognuna dovrà rinascere nuova nell’unità. E vivere nella Chiesa futura in piena comunione, sarà una realtà meravigliosa, affascinante come un miracolo, che susciterà l’attenzione e l’interesse del mondo intero”.
(Berlino, 19 novembre 1998 )

Dialogo interreligioso

“Di fronte al terrorismo e a tutte le altre forme di violenza, si fa sempre più strada il pensiero di spiriti eletti e illuminati che tutto ciò non sia frutto solamente dell’odio fra singoli o popoli, ma che sia anche effetto dell’oscura forza del Male con la M maiuscola, delle Tenebre, come ebbe a dire Giovanni Paolo II. La situazione, dunque, è seria. Perché, se le cose stanno così, non è sufficiente opporsi a tanto pericolo con sole forze umane. Occorre impegnare le forze del Bene con la B maiuscola. E voi tutti conoscete cos’è questo Bene: è anzitutto Dio e tutto ciò che ha radice in Lui: il mondo dello spirito, dei grandi valori, dell’amore vero, della preghiera.

La pace però è oggi un bene così prezioso che tutti noi, adulti e giovani, persone responsabili e semplici cittadini, dobbiamo impegnarci a salvaguardarla. Ma qualcuno potrebbe chiedere: “E’ compatibile l’amore, l’amarsi con lo stile di vita che le nostre culture ci hanno tramandato?” Si, è possibile: andate a cercare nei vostri Libri sacri e troverete – perché è quasi dovunque – la cosiddetta “Regola d’oro”. Il Cristianesimo la conosce così: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (cf. Lc 6, 31). E così dice Israele: “Non fate a nessuno ciò che non piace a te” (Tb 4, 15). L’Islam: “Nessuno di voi è vero credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso” (Hadith 13, Al Bukhari). E l’Induismo: “Non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore se fosse fatto a te” (Mahabharata 5, 1517). Tutte frasi che significano: rispetta e ama il tuo prossimo. E se tu, musulmano, ami, e tu, cristiano, ami, e tu, indù, ami, arriveremo certamente ad amarci a vicenda. E così fra tutti. Ed ecco realizzato un brano di fraternità universale.

Amare dunque: è uno dei grandi segreti del momento. Amare con un amore speciale. Non certo con quello rivolto unicamente ai propri familiari o agli amici, ma l’amore verso tutti, simpatici o antipatici, poveri o ricchi, piccoli o grandi, della tua patria o di un’altra, amici o nemici… Verso tutti. E amare per primi, prendendo l’iniziativa, senza aspettare d’esser amati. E amare non solo a parole, ma concretamente, a fatti. E amarsi a vicenda”.
(Roma, 26 maggio 2002)

Dialogo con persone di convinzioni non religiose

“Il dialogo è un arricchimento reciproco, è un volersi bene, è un sentirsi già fratelli, è un creare una fraternità universale già su questa terra. Naturalmente il dialogo è vero se è animato dall’amore vero. Ora l’amore è vero se è disinteressato; se no non è amore. E’egoismo.

Mi è stato domandato se ci possa essere un interesse nell’amare, anche nel dialogo stesso. In tal caso sarebbe un dialogo costruito senza l’amore; quindi non sarebbe dialogo, ma un’altra cosa: proselitismo, ad esempio. Il proselitismo deve restar fuori dalla porta, non può esserci, perché altrimenti non c’è dialogo. Dialogare significa amare, donare quello che abbiamo dentro di noi per amore dell’altro, e anche ricevere e arricchirsi: divenire “uomini di mondo”, che hanno dentro gli altri e sono riusciti a dare anche del proprio.

Ricordo che quando noi abbiamo incominciato, ci era stato suggerito che la linea da tenere era l’amore. E quello che avevamo ben fisso in testa era che l’amore è disinteressato: tu non devi amare per conquistare quella persona; tu non devi amare per farti un gruppetto per conto tuo, tu non devi amare per influire, ad esempio, sull’ufficio che tu hai o sulla scuola. No: tu devi amare per amare. Noi lo facevamo per un motivo soprannaturale, perché abbiamo la fede cristiana. Per questo le persone, sentendosi libere, vedendo la bellezza di questa vita, ci seguivano. Ma tutti lo possono fare, per arrivare a una vera fraternità, a quel valore che è la fraternità universale”.
( Castel Gandolfo, 8 febbraio 1998 )

C’è un mondo che non crede più, un mondo che ha conosciuto la fede dei suoi padri, ma l’ha respinta. In un grido di rivolta, volendo beneficiare di valori cristiani, ha tentato di trasferire il cielo sulla terra ripudiando il trascendente. S’è costruita una società che, sotto certi aspetti, può vedersi come una Chiesa capovolta. Per essi è tutto qui, sulla terra. Dio non c’è.

Il crocifisso che convertirà loro non sarà quello presentato nei primi secoli agli ebrei o ai pagani, perché a questi nostri fratelli non importa la salvezza, né la risurrezione, né il mondo futuro. Occorre presentare un crocifisso in cui Cristo sembri solo uomo: occorre presentare cristiani che amino talmente questi uomini da saper provare, come Gesù abbandonato, se così si può dire, la perdita di Dio per gli uomini. Insomma cristiani che sanno farsi “come uno senza legge (di Dio)” (1 Cor 9, 21), per salvare i propri fratelli – come dice Paolo -, crocifissi viventi.

Allora questi atei pian piano simpatizzeranno per questi uomini semplici ma interi, come vogliono essere loro. E dalla simpatia nascerà il colloquio. E dal colloquio la comunione.
Gesù nell’abbandono è il crocifisso degli atei, perché per loro s’è fatto ateismo”.
(Rocca di Papa, 27 dicembre 1971)

“Gesù considera come alleati e amici suoi tutti quegli uomini che lottano contro il male e lavorano, tante volte senza rendersene conto, per l’attuazione del Regno di Dio.

Gesù ci chiede un amore capace di farsi dialogo, cioè un amore che, lungi dal chiudersi orgogliosamente nel proprio recinto, sappia aprirsi verso tutti, e collaborare con tutte le persone di buona volontà per costruire insieme la pace e l’unità nel mondo. Cerchiamo quindi di aprire gli occhi sui prossimi che incontriamo per ammirarne il bene che operano, quali che siano le loro convinzioni, per sentirci solidali con loro e incoraggiarci a vicenda nella via della giustizia e dell’amore”. (agosto 1991)

La donna nella Chiesa

“La donna porta, nella compagine ecclesiale, dei valori fondamentali, insostituibili, e che, nel piano di Dio, è posta nella Chiesa a difesa di questi valori che sono inerenti alla sua specifica vocazione.

Gesù ha donato all’umanità femminile il suo modello incomparabile, al quale tutte le grandi donne cristiane della storia hanno guardato: Maria, sua madre. In essa ogni donna, che vuole veramente servire la Chiesa, può ravvisare il suo dover essere.

A parte tutte le visioni falsate e strumentali di lei, guardando a Maria, la donna cristiana può comprendere che non è al sacerdozio che deve puntare, perché, alla stregua della Madre di Dio, essa ha nella Chiesa un compito diverso, ma assai importante e indispensabile: deve affermare, nella maniera che lei sola può fare, il valore, il primato dell’amore su tutti gli altri tesori, su tutte le altre realtà che costituiscono la nostra religione, compresa quella dignità altissima, che rivestono coloro che sono chiamati al sacerdozio.

Sì, l’amore è più importante. Lo sappiamo: si va in Paradiso perché si è amato. L’amore è la cosa più importante. Lo dice anche il fatto che la gerarchia e i sacramenti sono per questa terra. Mentre l’amore dura anche nell’altra vita. Occorre perciò che parte del popolo di Dio affermi questa verità senza possibilità di inganno.

E’ nell’amore soprannaturale, è per l’amore e con l’amore che la donna, tutta intessuta d’amore già naturale, che la porta ad ogni sacrificio, può trovare il proprio posto nella Chiesa. Ministro così come ella è dell’amore, continua attraverso i secoli, ed anche oggi, a mantenere viva la presenza di Maria nella Chiesa. Perché ministro dell’amore, rende più pienamente fecondo ciò che operano i sacerdoti e i vescovi e ricorda loro che se, come diceva Paolo, il dar il corpo alle fiamme senza l’amore è vanità, anche l’esser ministri di Dio senza l’amore, non è secondo la volontà di Dio. Dove non c’è l’amore tutto è ridotto a forma, e semplice rito.

Quindi anche se «non sono chiamate al sacerdozio», come ha detto il Papa, e «l’insegnamento della Chiesa su questo punto è chiarissimo, ciò non altera in alcun modo il fatto che le donne sono veramente una parte essenziale del disegno evangelico di annunciare la Buona Novella del Regno» .

E possono svolgere questo compito soprattutto per il più grande dei carismi, il carisma della carità. «Come è vero – ha detto ancora il Santo Padre- che la Chiesa nella sua gerarchia è diretta dai successori degli apostoli, e dunque da uomini, è ancor più vero che nel senso carismatico le donne la guidano come gli uomini e forse ancora di più». Sono parole del Papa. Egli stesso si è premurato di confermare l’asserzione del teologo H. U. von Bàlthasar, secondo il quale «Maria è Regina degli apostoli senza pretendere per sé i poteri apostolici. Essa ha altro e di più».

Così la donna, vivendo la sua vocazione in pienezza, con la fede, la nobiltà, l’amore di Maria, può essere la rivelazione per la Chiesa della «dimensione mariana della vita dei discepoli di Cristo», può contribuire a tener vivo e al manifestarsi del profilo mariano essenziale alla Chiesa.
(da L’avventura dell’unità. Libro intervista di Franca Zambonini a Chiara Lubich, Città Nuova, 1991)
Testimonianza del primo focolarino che ha seguito Chiara

Quando, giovane pieno di riserve, ho sentito come lei parlava d Dio, sono rimasto folgorato dalla luce e dall’amore: come se dagli occhi mi fossero cadute le stesse squame che a Paolo di Tarso. Da allora son rimasto sempre legato a lei. A quel tempo era molto forte la separazione tra il mondo operaio e il mondo intellettuale: io ero operaio e lei maestra iscritta all’università, eppure re mi ha trattato alla pari, credendo in me, andando al di là delle apparenze. In lei ho trovato una madre che mi ha guidato passo passo nel mio cammino di conversione.

Ricordo un episodio noto: essendo operaio e intendendomi di vari lavoretti, tante sere mi recavo a fare delle riparazioni al primo focolare di piazza Cappuccini a Trento, dove avevo modo di ascoltare le conversazioni di Chiara e delle sue compagne. Quel clima via via mi attirava, vi si respirava un’atmosfera altamente spirituale. Una sera dovetti fare una riparazione più lunga del solito. Ultimato il mio lavoro, fui invitato da Chiara a sedermi un po’ per riposare. E lei incominciò a parlarmi di quel Gesù in cui io credevo, ma che avevo sempre sentito molto lontano pur ritenendomi un fervente cristiano.

«Gesù – mi disse fra l’altro -, era sempre Gesù quando lavorava, pregava, faceva miracoli, mangiava, riposava… Se venisse oggi in questo XX secolo, penso che farebbe l’operaio come te». Fu una luce per me: da una parte mi apparve il mio fallimento come cristiano della domenica; dall’altra, che siamo chiamati ad essere un altro Gesù 24 ore su 24.

Questa nuova visione mi stordì al punto che quella notte non riuscii a chiudere occhio. Più tardi, durante il servizio militare (già pensavo a lasciare tutto per seguire la stessa strada di Chiara), ricevetti da lei una lettera di cui mi è rimasta impressa solo una frase, incisa a fuoco nella mia anima: «Ricordati, Marco, che la nostra vita è un eterno ricominciare». Per me ha significato credere sempre e ad ogni costo nell’amore di Dio. Come quando dovetti lasciare il Brasile per una malattia cui si era aggiunta, a causa delle medicine, una forma di esaurimento. Chiara, che allora soggiornava in Svizzera, mi chiamò accanto a sé per seguire da vicino la mia situazione di salute. Nello stato in cui mi trovavo, piangendo le confidai le mie pene, e lei mi ascoltò per due ore e mi parlò proprio come una madre. Mille volte ho sperimentato questo essere generato da lei.

Se ho qualche preoccupazione per il dopo? Ricordo quello che in più occasioni ci ha detto Chiara: «Quando io non ci sarò più, certo per l’Opera sarà un momento difficile, ma io seguirò dal paradiso ogni vostro passo e voi pescherete da tutto il materiale che vi ho lasciato (discorsi, registrazioni, pensieri ecc.) la sapienza per poter portare avanti il movimento». Io sono sicuro che noi avremo questa capacità. E qui mi viene da dare lode a Dio che col suo amore in questi ultimi tre anni e mezzo di malattia di Chiara ci ha preparati a questo momento. Non potendole più starle vicino come prima, siamo stati costretti a guardarci in faccia tra noi e dirci: cosa farebbe, cosa direbbe lei adesso al nostro posto?
Marco Tecilla
Le testimonianze dal mondo del dialogo interreligioso

La storia di Chiara e del Movimento dei Focolari conosce delle tappe e uno sviluppo che, sebbene imprevisto, mostra però a cose fatte una luminosa coerenza. L’unità, infatti, fu dapprima vissuta soltanto tra cattolici, nell’ambiente ecclesiale in cui si trovavano a vivere Chiara e i primi membri del nascente Movimento. Fu l’espansione fuori Italia, in Europa e ben presto negli altri continenti, a provocare l’incontro con le altre Chiese e poi anche le altre religioni. Tali incontri – soprattutto per le positive reazioni che suscitavano – hanno fatto prendere coscienza della potenzialità dialogica della spiritualità e dell’esperienza di unità proposta da Chiara. Tutto ciò avveniva in sintonia con l’insegnamento del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo e sul rapporto con le altre religioni.

Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, l’esperienza in certo modo fondante è stato il Premio Templeton per il Progresso della Religione, ricevuto da Chiara nel 1977 a Londra. In quell’ occasione l’accoglienza del discorso da lei pronunciato da parte di numerosi esponenti di altre religioni fu calda e spontanea. Di qui, in particolare, il contatto che si stabilì con l’associazione laica buddhista giapponese della Rissho Kosei-kai e col suo fondatore e presidente, Nikkyo Niwano. Il 28 dicembre del 1981 Chiara era invitata a parlare della sua esperienza di Dio a diverse migliaia di membri di quest’associazione a Tokyo: Hans Urs von Balthasar notò che lì, in qualche modo, attraverso quel tipico metodo mariano di approccio alle religioni, si apriva una nuova via per il dialogo interreligoso. S’intensificarono via via i contatti e la collaborazione con la World Conference on Religion ad Peace, di cui Chiara divenne uno dei presidenti onorari, così come gl’incontri con i fratelli ebrei, musulmani, indù, buddhisti, ecc.

Per sostenere e promuovere il dialogo interreligioso venivano intanto costituite in diverse parti del mondo delle apposite scuole di formazione: così negli Stati Uniti e in Argentina per il dialogo con l’ebraismo, in Medio Oriente e negli Stati Uniti per il dialogo con l’Islam, nelle Filippine per il dialogo con le grandi religioni dell’Estremo Oriente, in Africa per le religioni tradizionali, mentre cominciavano a svolgersi incontri internazionali rivolti ai membri delle diverse religioni. Anche la Scuola Abbà, centro interdisciplinare di ricerca fondato nel 1991 per lo studio del carisma dell’unità, assumeva tra i suoi obiettivi l’approfondimento del dialogo interreligioso, animando nel corso degli anni, in collaborazione con il Centro per il dialogo interreligioso del Movimento, numerosi Simposi di approfondimento con esponenti qualificati delle diverse religioni.

Mi limito a ricordare qui tre avvenimenti cui ho personalmente partecipato. Il primo fu la visita di Chiara in Thailandia nel gennaio del 1997, che vide l’incontro col Supremo Patriarca Somdet Phra Nyanasomvara e alcuni dialoghi di rilievo, soprattutto nella città di Chang Mai, con il Gran Maestro Ajahn Thong e gli studenti buddhisti della locale Università. Il 19 maggio dello stesso anno, Chiara pronunciò un discorso nella storica moschea Malcom Shabbaz ad Harlem, New York, di fronte a rappresentanti della American Muslim Mission provenienti da tutti gli Stati Uniti e al loro leader, W. Deen Muhammed. Il rabbino Michael Schevack di New York, che sedeva accanto a me durante quell’incontro, a un certo punto mi disse: «È incredibile!». Lo stupore ci aveva coinvolti tutti. Eravamo davanti a un avvenimento spirituale che superava ogni tattica diplomatica e ogni umana previsione: una donna, bianca, cristiana offriva la sua testimonianza nella Moschea di Malcom X! Un terzo avvenimento toccò il mondo ebraico: fu la visita, nel 1998, al Center for Christian-Jewish Understanding della Sacred Heart University di Fairfield, diretto da Rabbi Jack Bemporad, che volle fosse conferito a Chiara il dottorato “of Humane Letters” per il suo impegno nel dialogo interreligioso.

Quali i punti-forza del dialogo che così si sono venuti instaurando per impulso di Chiara, a vari livelli e su diversi fronti? Il primo e fondamentale punto-forza è senz’altro costituito da quel dialogo dell’esperienza religiosa, sul quale tra l’altro si è appuntato nel frattempo l’interesse anche a livello ufficiale. Il vero dialogo, in realtà, può avvenire in profondità e verità solo là dove si riesce ad attuare uno scambio sincero e cordiale della propria esperienza. Questo atteggiamento positivo nei confronti dell’altro esprime l’ethos originario presente nel patrimonio di tutte le tradizioni religiose nella forma della regola d’oro: “fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te; non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. È questo un secondo punto-forza.

Ma a questo punto è necessario fare un passo in più. Come ha scritto F. Whaling, «conoscere la religione dell’altro implica entrare nella pelle dell’altro, vedere il mondo come l’altro lo vede». Ciò è possibile quando ci si “fa uno” con l’altro, facendo tacere – in prima battuta – il proprio pensiero e la propria parola per accogliere nella sua originalità la parola e l’esperienza dell’altro. Chiara ha costatato in proposito: «quando qualcuno muore a se stesso per farsi uno con gli appartenenti a un’altra religione e lascia con ciò vivere Cristo in sé, o quando questi ultimi vengono a contatto con Gesù risorto in mezzo a cristiani uniti nel suo Nome – frutto anche questo dell’amore alla Croce -, gli appartenenti all’altra religione sanno distinguere quella luce e quella pace, effetti dello Spirito, che irradiano dal volto dei cristiani con cui dialogano; ne sono attratti e chiedono spiegazione». Dove la capacità di ascolto e di accoglienza dell’altro raggiunge questa radice, si può realizzare infatti – ecco un quarto punto-forza – un’autentica comunicazione in Dio che apre la strada all’annuncio del Vangelo. «Il frutto del dialogo – ha sottolineato Giovanni Paolo II a Madras, in India – è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio. Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo ci apriamo anche a Dio».

Concludo con una riflessione che ho maturato in questi anni partecipando a questo cammino. Si è parlato (penso a Karl Jaspers) di un'”epoca assiale” in cui – in tempi più o meno contemporanei – compaiono sulla scena del mondo Isaia e Platone, Zarathustra, Buddha e Lao Tzu. Si sono costituite allora quelle grandi identità religiose che perdurano sino ad oggi. Quando ci sembra di assistere a qualcosa che, nel futuro, potrà forse esser riconosciuto come una “nuova epoca assiale”.

Le diverse identità religiose entrano in rapporto tra loro. Passano da una concezione esclusivista (Dio s’è rivelato a noi escludendo gli altri) a una timidamente relazionale (il Dio che è per me è anche per gli altri). E così un duplice movimento sembra caratterizzare oggi le grandi tradizion

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Cio’ che abbiamo di più caro

Posted by straniero su 10 aprile 2008

«Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo».
Benedetto XVI

Elezioni 2008
Ciò che abbiamo di più caro


1) Ogni volta che siamo chiamati alle urne siamo provocati, come cristiani, a rendere ragione della nostra fede. È questo, infatti, a essere ultimamente in gioco nel modo in cui diamo il nostro contributo alla costruzione della società.
Come ci ha insegnato don Giussani, ciò che ognuno ama viene a galla di fronte alle urgenze del vivere: «Se in primo piano è veramente la fede, se ci aspettiamo veramente tutto dal fatto di Cristo, oppure se dal fatto di Cristo ci aspettiamo quello che decidiamo di aspettarci, ultimamente rendendolo spunto e sostegno a nostri progetti o a nostri programmi», emerge di fronte alla prova, nel giudizio e nella decisione.
Perciò le elezioni rappresentano per noi un’occasione educativa unica, per verificare a che cosa teniamo veramente e per smascherare la possibile ambiguità che sta alla radice di ogni nostra azione.

2) Alla politica non chiediamo la salvezza, non è da essa che l’aspettiamo, per noi e per gli altri.
La tradizione della Chiesa ha sempre indicato due criteri ideali per giudicare ogni autorità civile così come ogni proposta politica:

a) la libertas Ecclesiae. Un potere che rispetta la libertà di un fenomeno così sui generis come la Chiesa è per ciò stesso tollerante verso ogni altra autentica aggregazione umana. Il riconoscimento del ruolo anche pubblico della fede e del contributo che essa può dare al cammino degli uomini è, dunque, garanzia di libertà per tutti, non solo per i cristiani.

b) il «bene comune». Un potere che si concepisce come servizio al popolo ha a cuore la difesa di quelle esperienze in cui il desiderio dell’uomo e la sua responsabilità – anche attraverso la costruzione di opere sociali ed economiche, secondo il principio di sussidiarietà – possono crescere in funzione del bene comune, ben sapendo che da nessun programma esso potrà venire realizzato in termini definitivi, a causa del limite intrinseco a ogni tentativo umano.

3) Per queste ragioni noi accordiamo la nostra preferenza a chi promuove una politica e un assetto dello Stato che favoriscano quella “libertà” e quel “bene”, e che possano perciò sostenere la speranza del futuro, difendendo la vita, la famiglia, la libertà di educare e di realizzare opere che incarnino il desiderio dell’uomo. Lo facciamo in un momento storico che esige di non disperdere il voto, per non aggiungere confusione a confusione.
In particolare, invitiamo a guardare ad alcuni amici che, a partire dal personale impegno con la comune esperienza cristiana, hanno già dimostrato in questi anni di perseguire una politica al servizio del bene comune, della sussidiarietà e della libertas Ecclesiae. Ci auguriamo che essi possano continuare a documentare la novità che ha investito la loro vita, come la nostra, affinché nella loro azione si possa rendere ancora più esplicito il frutto dell’educazione ricevuta: una passione per la libertà e per il bene vissuta come carità.

Comunione e Liberazione

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Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito

Posted by straniero su 8 aprile 2008

Lettera dell’Arcivescovo S.E.Rev.ma Mons. Dionigi Tettamanzi, agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione.

Un documento che incarna la partecipazione alle sofferenze di fratelli e sorelle «amati e desiderati».
Davanti alla fatica «a vivere insieme», la Chiesa «non vi guarda come estranei che hanno mancato
a un patto» ed e’ consapevole che in certi casi «è addirittura inevitabile» decidere
di separarsi. Occorre però evitare scelte affrettate («forse si può ancora scegliere di cercare
un aiuto competente per avviare una nuova fase di vita insieme») e soprattutto negative ricadute
sui figli, «che hanno bisogno sia del papà sia della mamma e non di inutili ripicche, gelosie o durezze».
L’impossibilità di accedere alla comunione eucaristica non implica un giudizio «sul valore affettivo
e sulla qualità della relazione che unisce i divorziati risposati» e neppure l’esclusione «da una vita
di fede e di carità vissute all’interno della comunità ecclesiale». Il Cardinale conclude con un appello:
«Anche da voi la Chiesa attende una presenza attiva», in termini di «compito educativo», di «testimonianza» e di «aiuto ad altri in «situazioni simili». Si apre un dialogo che dovrà continuare nelle parrocchie: i sacerdoti indichino atteggiamenti utili a «a comprendere e a vivere con semplicità e fede la volontà di Dio»

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2 Giugno 1946: l’Italia sceglie la Repubblica

Posted by straniero su 6 aprile 2008

Ma non fu un plebiscito. E per diverse ragioni.
Il Nord, in gran parte, si espresse per la Repubblica, mentre il Meridione votò soprattutto la monarchia.
Così anche la Democrazia Cristiana e il mondo cattolico si presentò “diviso” alle urne.
E per la prima volta votarono anche le donne…

di Luca Frigerio

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